LA RICERCA DELL'INFELICITA', DI DR. RICCARDO CABONI

Sab, 10/02/2018

Carissimi lettori e lettrici, ecco il secondo appuntamento con la rubrica Sesso e Psiche.
La storia che mi appresto a raccontare tratta della “ricerca dell’infelicità”. Avete letto bene: la ricerca dell’infelicità! Quanto e come noi siamo complici di questa spasmodica ricerca dell’infelicità? Quanto ci mettiamo di nostro nell’alimentarla? Temiamo che un’eccessiva felicità possa essere per noi incontrollabile? Alcune volte ci ritroviamo a ripeterci, abbiamo la sensazione di essere “un criceto che gira nella ruota” senza mai arrivare alla meta. Abbiamo tutto ma non abbiamo niente, o abbiamo “il tutto” e cerchiamo il niente. A tal proposito mi sembra opportuno condividere con voi il testo seguente:
“Da un essere umano, che cosa ci si può attendere? Lo si colmi di tutti i beni del mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, sì che alla superficie della felicità non salga che qualche bollicina, come sul pelo dell’acqua – gli si diano la tranquillità e di che vivere, al segno che non gli rimanga proprio nient’altro da fare se non dormire, divorare pasticcini e pensare alla sopravvivenza dell’umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano che avete reso felice, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, e per insultare, vi giocherà un brutto tiro. Egli metterà in gioco persino i pasticcini, e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e capriccioso elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità…” (Memorie dal sottosuolo, F M Dostoevskij).

Anna è una donna di 40, laureata, alla ricerca del lavoro dei suoi sogni. Due anni fa si è trasferita in una grande città: per lei questo trasferimento avrebbe dovuto essere il salto verso la felicità. L’entusiasmo iniziale del suo trasferimento é durato giusto il tempo di scontrarsi con l’amara realtà; il suo “problema” non era rimasto nel luogo di origine ma era venuto con lei nella grande città. Anna aveva come la sensazione che il mondo fosse contro di lei. Ricordava sempre la frase che la madre le ripeteva fin da piccola: “stai attenta alle persone che incontri, non ti fidare di nessuno all’infuori di me”. Lei aveva preso alla lettera questo “suggerimento”, infatti la sola persona di cui si fidasse era la madre. La sua sfiducia nel prossimo e in sé stessa trasudava dalle sue parole, dai suoi gesti e nella ricerca del “lavoro dei suoi sogni”. Il trovarsi in una nuova situazione, amicale o lavorativa, diventava per lei motivo di forte ansia e di paura. Anna cercava in modo ossessivo il “brutto” della vita. La sua famigliarità con la diffidenza e con la paura che gli altri in un modo o nell’altro potessero approfittare di lei la portava sempre a stare sulla difesa. Il suo linguaggio, il suo corpo era un’armatura di protezione contro un mondo ostile. Si difendeva dall’amore, dall’affetto, da sé stessa. La difesa era diventata una giustificazione per tutto ciò che non andava nelle sue relazioni umane e lavorative. Una sua frase tipo era: “io do il massimo, do tutta me stessa ma mi ritrovo sempre al punto di partenza”. Anna non si sentiva padrona della sua vita, non si sentiva responsabile della sua “ricerca dell’infelicità”. La colpa era sempre degli altri, mai la sua. La sua realtà era per lei chiara e famigliare, priva di imprevedibilità e novità. In questo modo la donna si assicurava la ricetta dell’infelicità, preservando e alimentando l’immobilità della sua vita, in un rituale ripetuto di comportamenti e modi di pensare. 

La condizione di Anna è un circolo vizioso che va assolutamente interrotto. La paura genera paura come la sfiducia genera sfiducia. Il rimanere ancorato a vecchie credenze, come la frase ripetuta dalla madre -“stai attenta alle persone che incontri, non ti fidare di nessuno all’infuori di me”- non le permette di concedersi il lusso di fidarsi innanzitutto di sé stessa. Anna non cerca quello che vuole ma è totalmente proiettata su quello che non vorrebbe che accadesse, la realizzazione delle sue paura. La convinzione che si possano realizzare le sue paure la porta a comportarsi come se si fossero già realizzate, contribuendo paradossalmente alla loro effettiva realizzazione. In questo senso Anna è alla ricerca della sua infelicità, costruendola.
Vi voglio lasciare con due righe tratte dal libro “Istruzioni per rendersi infelici”di P.Watzlawick, dove c’è un capitolo intitolato “Prima di tutto, sii fedele a te stesso” ed inizia nel seguente modo:
“Questa aurea massima ci giunge da Polonio, il ciambellano nell’Amleto, ed è per noi presiziosa in quanto è proprio perché rimane fedele a se stesso che egli giunge a farsi ammazzare da Amleto “come un topo”, dietro una tenda”
La “vera libertà” é poter scegliere assumendoci la responsabilità della nostra scelta.

Dr. Riccardo Caboni