I MOSTRI DELL'ANIMA: ITACA, DI BENEDETTO GALIFI
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Come ti metti in viaggio per Itaca,
devi augurarti che sia lunga la strada,
ricca di avventure e conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
l'ira di Poseidone non temere,
mai li incontrerai sul tuo cammino
se il pensiero è alto, se nobile
il sentimento che ispira il corpo e lo spirito.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
il feroce Poseidone non li incontrerai,
se non li porti dentro l'anima,
se l'anima non te li alza contro. [...]
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Abbiamo già percorso, in un precedente appuntamento, alcune delle pagine più belle della produzione poetica di Costantinos Kavafis ( Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1863 - Alessandria d'Egitto, 29 aprile 1933 ), compiendo un breve viaggio dentro quei versi d'amore che hanno provveduto a consegnare buona parte della fama ad uno dei maggiori esponenti della poesia neogreca del '900.
Eppure – per esigenze tematiche – qualcosa di importante della produzione di Kavafis era stata tagliata fuori dalla nostra analisi: parlo di quella poesia di impegno civile e sociale che più e più volte è stata affrontata e dibattuta dal poeta alessandrino durante tutto l'arco della sua vita.
Probabilmente, una delle sue liriche più celebri è quella che prende il titolo di Itaca.
Il viaggio ritorno di Ulisse ad Itaca – sua patria – a seguito dei lunghi dieci anni che l'avevano visto impegnato a combattere la celeberrima guerra di Troia dalla quale l'eroe era uscito trionfante - grazie allo stratagemma del cavallo di legno da lui stesso inventato - ha affascinato ed ispirato moltissimi artisti di ogni epoca storica; basti ricordare, per quanto concerne la nostra letteratura nazionale – “A Zacinto” di Ugo Foscolo.
Sarebbe lungo l'elenco di quelle opere postume all'Odissea di Omero che da quest'ultimo hanno tratto ispirazione, tanto lungo – se non impossibile – da riportare in questa sede.
Eppure, tra tutti questi scritti – versi, romanzi, studi, articoli, saggi – l'Itaca di Kavafis è quella che maggiormente si è data alla lettura di un pubblico più ampio.
Forse perché, tutto sommato, il poeta neogreco fa di Itaca – la patria di Ulisse – la terra promessa di ciascun essere umano, il fine ultimo di ogni uomo: ogni uomo, per Kavafis, è infatti un Ulisse nel suo viaggio di ritorno verso casa.
Itaca non è solo l'isola greca cantata dai versi di Omero: il poeta di Alessandria d'Egitto la rende simbolo del viaggio compiuto da ciascun uomo e metafora della vita.
I versi di apertura della poesia incitano il lettore ad augurarsi che il viaggio verso Itaca – il viaggio della vita – sia molto lungo, in modo da offrire la possibilità agli uomini di arricchirsi di più conoscenze possibili. I mostri, ovvero i nemici, non esistono al di fuori dell'essere umano: i mostri – che qui si incarnano nelle immagini dei Lestrigoni e dei Ciclopi contro i quali Ulisse si era ritrovato a combattere – fanno parte della vita di ciascuno di noi solo se siamo noi stessi a portarli dentro, nelle nostre anime. Il pericolo dunque, non è esterno all'uomo, ma interno: non vi è male qualora decidiamo di non imbatterci nelle negatività. La via per la sconfitta di questi mostri è data dal pensiero nobile, dalle buone intenzioni: mantenendo la nobiltà d'animo, infatti, è quasi impossibile che ci si possa imbattere contro “l'ira di Poseidone” - il quale dio durante il viaggio di ritorno di Ulisse scatena contro l'eroe forti venti e naufragi, nonché approdi pericolosi in altre terre, mosso da un forte odio per lui – ossia le avversità della vita.
È l'anima, dunque, ad aizzare contro ciascuno di noi quei stessi mostri che temiamo e che non sappiamo spesso affrontare, giusto perché da noi stessi sono stati creati, poiché siamo noi a portarli dentro.
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Devi augurarti che sia lunga la strada
e molti i cammini d'estate
quando – con gioia e piacere -
approderai in porti mai visti
e ti fermerai negli empori fenici
a comprare fine mercanzia:
madreperle e coralli, ambra e ebano,
ogni genere di profumi sensuali,
quanti più puoi, profumi sensuali.
Va' in molte città d'Egitto
a imparare e imparare dai sapienti. [...]
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Kavafis, in questa seconda strofa, ribadisce l'influenza del tempo nel viaggio: più il viaggio dura, più aumenta la probabilità che ci si possa arricchire nel nostro bagaglio personale di esperienze. Il poeta incita il lettore a non smettere mai di imparare dai sapienti, ovvero da coloro i quali possono dare a ciascuno di noi un contributo positivo affinché la nostra persona migliori ulteriormente.
Itaca deve essere sempre e comunque l'obiettivo dell'uomo; egli, infatti, non deve mai dimenticarla, poiché il suo raggiungimento è la meta. Eppure bisogna, per l'appunto, che il viaggio duri molti anni, affinché si possa approdare all'isola ricchi di quanto abbiamo raccolto durante tutto il cammino percorso: ricchi del viaggio stesso, e coscienti che il viaggio è la ricchezza e che Itaca – la vita – non ci darà mai altre ricchezze se non la possibilità stessa di aver viaggiato, ossia, di aver vissuto:
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Non dimenticarti mai di Itaca.
Raggiungerla è la tua meta.
Ma non affrettare il viaggio.
Meglio che duri molti anni
e, vecchio ormai, tu approdi nell'isola,
ricco di quanto ti ha dato il viaggio,
senza pensare che Itaca ti dia ricchezze. […]
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Alla fine del viaggio, ormai saggio, ciascun Ulisse – ognuno di noi – può vedere dischiudersi il senso del “viaggio”: la vita ci concede la possibilità di viverla, di “avventurarci” dentro di essa, seppur possa capitare di trovarla “povera”, credendo che essa non ci abbia dato niente. Quanto la vita può concedere, infatti, è il viaggio stesso della vita, con la conseguenziale ricchezza proveniente dal bagaglio di esperienze accumulato:
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Itaca ti ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non ti avventuravi.
Non ha altro da darti.
E se la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato.
Ormai saggio, ricco di esperienze,
avrai capito quel che significa un'Itaca.
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Auguriamoci, pertanto, che il viaggio della nostra vita sia lungo e che ci offra l'occasione di arricchirci personalmente, sollevando i nostri animi sulle miserie che ciascuno di noi può incontrare durante l'iter esistenziale. Evitiamo di portare dentro di noi quei mostri e quei fantasmi che ci atterriscono e ci tarpano le ali, ostacolando il nostro personale percorso compiuto per raggiungere Itaca, la vita stessa che svelerà alla fine del viaggio il suo senso. Auspichiamoci di imparare da chi è più saggio di noi e di attorniarci lungo il nostro cammino di persone dall'animo nobile, di quelle che con non conoscono l'inganno e la scorrettezza, di quelle che possano darci qualcosa di buono in più rispetto a quanto già possediamo. E se – una volta raggiunta la nostra personale Itaca, la meta ultima del viaggio – dovessimo trovarla povera riflettiamo sul dono che essa ci ha fatto: la consapevolezza della vita in quanto viaggio, e la fortuna irripetibile che abbiamo avuto in dono, quella di compierlo, il viaggio.
Benedetto Galifi