FEDERICO GARCI'A LORCA E L'AMORE OSCURO | DI BENEDETTO GALIFI
Parlare di poesia e omosessualità non è semplice. Una difficoltà nell'affrontare il tema potrebbe essere data dalla tendenza del lettore ad associare ogni singolo scritto di un poeta – specie se si tratta di un componimento “amoroso” - alla sua condizione di omosessuale.
Se l'arte non ha tempo, così come abbiamo spesso precisato negli articoli precedenti – essa non ha neppure sesso: un'opera che nasce dalle mani di un'artista viene affidata all'universo e diventa qualcosa che appartiene a tutti, rinunciando in questo modo ai suoi “dati anagrafici” - età, sesso, provenienza - a favore di una “generosa” e generale “diffusione globale”. Sarebbe inutile dire, dunque, che spesso gli studiosi che si sono dedicati all'analisi di poesie composte da scrittori gay si siano approcciati in modo “prevenuto” alla loro lettura, partendo dal presupposto che i componimenti d'amore di un poeta omosessuale debbano avere necessariamente un destinatario di sesso maschile e non tenendo in conto, piuttosto, che i poeti di rado scrivono all'amore e più spesso scrivono d'amore: è il sentimento amoroso il loro primo interlocutore.
A tal proposito, i Sonetti dell'amore oscuro composti dal poeta andaluso Federico Garcìa Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 - Viznar, 19 agosto 1936) offrono testimonianza di quanto abbiamo spiegato fino ad ora.
Probabilmente l'aggettivo “oscuro” usato per designare l'amore cantato dai Sonetti lorchiani potrebbe far riferimento ad un sentimento occultato, forzatamente nascosto, quale poteva essere quello provato da un omosessuale vissuto agli albori della repressiva dittatura franchista. Ma una lettura in tal senso potrebbe essere riduttiva, minando alla grandezza reale di questi versi e occultandone il senso intrinseco di mera testimonianza personale di un dolore d'amore tormentato dalla lontananza e dall'irraggiungibilità della persona amata o dalla delusione insostenibile della fine di un amore intensamente vissuto. Un amore come tanti nel mondo, dunque, identico per tutti – che si tratti di eterosessuali o omosessuali.
I Sonetti, infatti, si presentano come un lungo “lamento” , testimonianza di un sentimento doloroso causato da un amore distante e irraggiungibile, concluso o sepolto, o forse ancora sospeso; un'angoscia di quelle contro cui un uomo o una donna di ogni tempo – che si tratti di eterosessuali, omosessuali, bisessuali, transessuali, etc – si sono ritrovati faccia a faccia, almeno una volta nella vita.
L'oscurità dei Sonetti di Lorca, dunque, non è da attribuire all'orientamento sessuale del poeta quanto, piuttosto, al “buio” del sentimento amoroso di cui i versi si impregnano: un amore angoscioso, una “calda voce di gelo”, una “viva morte” che versa il suo “ sangue rotto sui violini”.
L'amore tiene sulle spine l'amante, il quale vive nel perenne timore di perderlo. Egli, dunque, diviene “tronco senza rami” ancorato ad una riva dalla quale non riesce a schiodarsi, cane fedele, foglia di un “autunno sconvolto” in attesa di essere accolta dalle acque del fiume del suo “tesoro occulto”, la persona che ama:
Ho paura di perdere lo stupore
dei tuoi occhi di statua e il ritmo
che mi posa di notte sulla guancia
la solitaria rosa del tuo respiro.
.
Mi angoscia essere su questa riva
tronco senza rami […]
.
Se tu sei il tesoro occulto mio,
se sei mia croce e mio dolore bagnato,
se sono il cane ai tuoi comandi,
.
non mi far perdere quel che ho ottenuto
e decora le acque del tuo fiume
con le foglie del mio autunno sconvolto.
Il messaggio d'amore, il richiamo del poeta al soggetto amato affinché questi lo accolga “tra le sue acque” non possono essere recepiti dall'interlocutore, poiché quest'ultimo si presenta come “addormentato” dentro il poeta, chiuso tra le segrete dei suoi versi, gelosamente custodito e tenuto al riparo da chi possa spiarlo. La poesia intitolata “L'amore dorme nel petto del poeta” si concentra su un altro tipo di sofferenza amorosa, stavolta non causata dall'amante complice-nemico ma da una paura propria dello scrittore di essere spiato dagli occhi indiscreti e giudicanti della gente, dal timore che il suo amore “oscuro” ( stavolta nell'accezione di “nascosto”, “occultato”, con un possibile riferimento alla sua omosessualità ) possa venire allo scoperto:
Tu non capirai mai quanto ti amo
perchè dormi in me e sei addormentato.
Io ti nascondo piangendo incalzato
da una voce d'acciaio penetrante.
.
Norma che muove insieme carne e astri
trafigge già il mio petto addolorato
e le scure parole hanno addentato
le ali del tuo spirito severo.
.
Gruppo di gente che salta nei giardini
aspettando il tuo corpo e la mia agonia
su cavalli di luce e verdi crini.
.
Ma continua a dormire, vita mia.
Senti il mio sangue rotto sui violini!
Guarda che ci spiano ancora!
Portato al riparo da occhi indiscreti, questo amore in ogni caso non riesce a decollare. La persona amata sfodera tutta la sua spietatezza di fronte alle lacrime del poeta, rispondendo al suo dolore con cinismo e disprezzo:
Notte sopra noi due con la luna piena,
io mi sono messo a piangere e tu ridevi.
Il tuo disprezzo era un dio, i lamenti miei
attimi e colombe alla catena.
L'amore diviene, dunque, duello tra gli amanti, lotta di sangue e fiori al contempo, conflitto che lascia dietro di sé un'aria immobile e impassibile; il poeta è una “pietra inerte”, incapace di muoversi e di fuggir via dalla sofferenza, schiavo di un amore che versa il suo “gelido miele” e la sua fredda dolcezza dentro il cuore:
Amore delle mie viscere, morte viva,
invano attendo tue parole scritte
e penso, con il fiore che appassisce,
che se vivo senza me io voglio perderti.
.
L'aria è immortale. La pietra inerte
non conosce l'ombra e non la sfugge.
Il cuore interiore non richiede
il gelido miele che la luna versa.
.
Però io ti ho patito. Le mie vene ho reciso,
tigre e colomba, sulla tua cintura
in un duello di morsi e di gigli.
.
Colma, dunque, di parole la mia pazzia
o lasciami vivere nella mia serena
notte dell'anima per sempre oscura.
Di fronte ad un bivio, quale può essere un dissidio amoroso che tiene un amante sospeso tra l'amore e l'odio, la gioia e il dolore, tra il consenso e il dissenso, l'amore diviene, in un magistrale gioco di parole, una “morte viva”.
Un amore, d'altronde, è un tira e molla perenne tra i due estremi dell'entusiasmo e dello sconforto, della vita e della morte e non di rado scade nel suo opposto: l'odio.
Amore ed odio sono sentimenti che appartengono a tutti gli esseri umani: poco importa che si tratti di eterosessuali o di gay.
Eppure in alcune parti del mondo non a tutti è concesso di amarsi. Ancora oggi accade che persone omosessuali o transessuali subiscano soprusi dettati da atteggiamenti omofobi o che vengano relegati ai margini della società. I meno fortunati sono vittime di attacchi verbali o – ancor peggio – fisici. Spesso vengono picchiati a sangue ed uccisi. La loro colpa? Amano. Amano e non sono compresi.
All'alba del 19 agosto del 1936 il governatore di Granada José Valdés Guzmàn ordina che Federico Garcìa Lorca venga fucilato: il suo corpo verrà fatto sparire e non sarà mai più ritrovato.
Se da un lato le cause dell'esecuzione non sono state ancora chiarite, tuttavia addentrandoci nella vita del poeta – mai impegnato in modo palese contro l'allora nascente dittatura franchista – vien facile pensare che la ragione per la quale sia stato ammazzato fosse la sua omosessualità. Egli, infatti, poeta gay, poteva costituire un modello sociale per tanti giovani intellettuali, un esempio di trasgressione e di ribellione al potere che potenzialmente tanti altri avrebbero potuto seguire.
Oggi Lorca vive ancora, oltre che nei suoi versi, nei vicoli arabi e tra la gente di Spagna e della sua amata Granada. Tantissimi intellettuali lo hanno celebrato denunciando la sua morte ingiusta.
Benedetto Galifi