NON RIESCO A DIRE DI NO, DI DR. RICCARDO CABONI

Dom, 03/12/2017

Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire: “non riesco a dire di no”. Dal punto di vista psicologico ciò è sinonimo di una personalità poco strutturata, cioè immatura, con bassa autostima e poca tolleranza alla frustrazione. Solitamente i soggetti che riferiscono questo tipo di malessere psicologico temono di essere giudicati male nel dire di no a una richiesta da parte dell’altro. Alcune volte queste tipologie di persone temono che un no possa far finire la relazione che intercorre con l’altro oppure che venga giudicato negativamente il suo comportamento.
Solitamente, i soggetti che hanno questo tipo di aspetto disfunzionale agiscono con la convinzione illusoria che il dire sempre di si (equivale a non saper dire no!) è un modo per mantenere un’immagine positiva di sé, cioè si convincono di essere buoni, disponibili e non giudicabili dalle persone con cui hanno una relazione. Temono fortemente il giudizio poiché devono mantenere la propria immagine di “bravo bambino/a”, questa paura non permette loro di dare un’immagine di sé reale ma una copia falsa della propria persona. Come i bambini temono di essere puniti dai genitori se non si comportano come loro vorrebbero anche in queste persone vi è il timore di essere puniti dai loro amici o dai partner. L’essere puniti è una fantasia che gli permette di assicurasi la presenza nella relazione dell’altro, cioè: “L’altro non mi può allontanare fino a che io sarò bravo con lei /lui”.
Nelle relazioni amicali o amorose questa tipologia di persone difficilmente risultano propositive, o prendono una decisione. Preferiscono seguire ciò che fanno gli amici o il partner senza mai dire quali siano le loro preferenze. In questo caso sarebbe troppa la paura che la loro richiesta venga rifiutata e criticata. Per loro sarebbe una frustrazione difficilmente tollerabile, poiché vivrebbero ciò come esperienza di rifiuto di sé. Questi soggetti non sono in grado di circostanziare un no a una situazione specifica ma la vivono come esperienza totalizzante. Atteggiamento tipico infantile.
Un altro aspetto che le persone incapaci di dire di no hanno è le continue giustificazioni che danno agli altri del loro comportamento e delle loro decisioni. Non riuscendo ad agire indipendentemente dal giudizio altrui utilizzano le giustificazioni per evitare che le persone possano pensare male. L’evitare che l’altro pensi male è una forma di controllo illusoria nei confronti, in questo credono di assicurarsi la continuità della relazione.
Appare chiaro come il credere poco in sé stessi, cioè non avere un stima di sé pone questa tipologia di persone in una condizione d’inferiorità nelle relazioni. Non si arriverà mai a una posizione paritaria dove si è coautori della relazione sia amorosa sia amicale, ma ci si aspetta che sia sempre l’altro a prendere una decisione. Ciò porta ad una relazione dove uno dei soggetti mette poco di sé, se non la falsa copia della sua persona. Questo potrebbe essere il risultato di una relazione poco arricchente, dove non vi è uno scambio (dare e avere) un circolo ricreativo di energie, ma solo una relazione a senso unico.
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Ci tengo a sottolineare che la frustrazione corrisponde alle emozioni e sentimenti prodotti in seguito ad un impedimento (ostacolo) alla realizzazione o soddisfazione di un desiderio o bisogno. La tolleranza alla frustrazione varia da persona a persona, da momento a momento anche nella stessa persona. Superata la prima sensazione di sgradevolezza e di negatività, la frustrazione può essere utilizzata per aumentare la carica motivazionale, quindi può essere utile per superare l’ostacolo che ci ha impedito di soddisfare il nostro bisogno o desiderio. Quindi è del tutto funzionale provare in diversi periodi della vita un senso di frustrazione. Possiamo concederci di essere frustrati ogni tanto, anche perché diventando adulti dovremmo avere la capacità di rinviare il nostro desiderio o bisogno.
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Non è per niente funzionale dal punto di vista psicologico il non saper di no. In questi casi è bene lasciarsi aiutare da uno psicologo/psicoterapeuta.
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Dr. Riccardo Caboni